Un commento di Giancarlo Porcu
Santa Lucia è ancora un luogo. Un luogo vero. Con i suoi difetti, anche edilizi e infrastrutturali, ma un luogo identico solo a se stesso. Si potrebbero onorare le caratteristiche del borgo attraverso interventi di recupero e restauro. Ma questa prospettiva non è per lo sguardo miope degli amministratori, invece abbagliati da uno “sviluppismo” di maniera: imperniato solo sul mattone a due passi dal mare. Sì, di maniera, perché si tratta dell’adesione al modello mortifero degli alberghi sul mare. Strutture spesso per nulla rispettose di tipologie edilizie locali (Santa Lucia le possiede, al netto degli obbrobri storici che pure vi insistono), quindi nient’affatto integrate, in quanto l’interazione con l’esistente antropizzato (paesi, casolari, etc.) è totalmente fuori dai loro programmi. L’essenziale, rispetto al contesto, è assicurarsi una fetta di natura sarda, marina o peri-marina, che sia strettamente funzionale alla loro autarchia.
La più evidente e immediata conseguenza di ciò è l’occupazione del litorale di fronte alle strutture alberghiere, secondo la formula del “tutto a portata di mano”, in esclusiva e quindi off-limits, dall’esterno. Un’altra forma di non-interazione col resto. Anzi, di espropriazione rispetto agli abituali fruitori. In queste settimane, sfogliando “la Repubblica”, mi sono imbattuto in uno spazio pubblicitario che reclamizza la bassa stagione in un albergo-villaggio del Nord Sardegna, e fra le altezze poetiche raggiunte dal testo c’è tutto un dire al potenziale cliente che starà in una meravigliosa bolla confortevole, ma anche un po’ selvaggia ai confini del mondo (quello vero): «Il Villaggio è ubicato in una incontaminata tenuta di 20 ettari che si spinge, con una bellissima ed ampia pineta, fino all’azzurro mare del Golfo dell’Asinara. Il complesso che dista 6 Km. da Porto Torres, interamente ristrutturato e rinnovato anche nell’arredo, si affaccia direttamente su una bellissima spiaggia privata di sabbia dorata, ornata da dune naturali e dispone di tutti i confort, attrezzature sportive ed animazione.» Da sottolineare, almeno, la “spiaggia privata” e le dune, “naturali” (lapsus che tradisce l’artificiosità del resto?), declassate a ornamento.
L’autosufficienza a cui tendono questi non-luoghi ha anche i suoi bei risvolti economici, negativi, a dispetto del primo motore che muoverebbe tali operazioni: la crescita appunto economica. Sulle ricadute occupazionali già molti intervenuti in questo sito hanno detto. La stagionalità di queste attività, di un turismo esclusivamente legato alla fruizione del mare e del sole – stagionalità che, vigente tale modello, durerà finché la Sardegna continuerà a occupare la latitudine che occupa attualmente – smonta il grande movente, almeno nel senso di un vero “sviluppo”, anche quando la quota di lavoratori locali sia massima, anche quando si voglia un “popolo di camerieri”. Ma in quanto alla tensione all’autosufficienza, scommetterei anche sull’eventualità che poco giovamento trarrà il sistema produttivo locale dalla presenza delle quattro strutture che si prevede di costruire a Santa Lucia. C’è da scommettere che i gestori non compreranno una sola zucchina da Tzia Fulana e manco una triglia da Tziu Nichele. Per i maialetti precotti sottovuoto e le spigolette tutte di cm 20, ci sono altre fonti, più economiche e più fornite.
In definitiva, mi pare che, per Santa Lucia, ci si omologhi scimmiescamente a quanto altrove in Sardegna – nella Sardegna perimetrale – è accaduto da vent’anni a questa parte, con risultati modestissimi per l’economia delle popolazioni locali ma perdite pesanti, irreversibili di risorse territoriali uniche. E perdita di Luoghi. Perché c’è, è vero, una potenziale forma di relazione fra questo genere di nuovi, massicci interventi e l’esistente (il borgo di Santa Lucia): la sua conversione in non-luogo perché ormai assediato da non-luoghi, animati, si fa per dire, per due mesi all’anno e che per gli altri dieci mesi staranno lì – che pantàsimas – a simulacro della rozzezza di una classe politica mattonara. La quale, se continuerà ad attestarsi sui livelli attuali, non potrà imparare dall’esperienza ma si chiederà se non sia il caso di moltiplicarla, visto che la prima intrapresa non ha prodotto l’ipotizzato sviluppo. Fino a quando?
Last but not least. Siamo quindi al cospetto di una performance di ritardo culturale, cui per fortuna non risponde l’indole dei tantissimi siniscolesi che animano il Comitato Salviamo Santa Lucia.
Si passa per Quelli-del-no a dire “Salviamo Santa Lucia”; e si passa per retrogradi. Be’, gli amministratori siniscolesi non potranno mai capire, presi da soluzioni d’accatto, quanto invece è lungo lo sguardo di chi lo dice. Il Comitato Salviamo Santa Lucia può addirittura costituire un laboratorio per la proposta di un nuovo modello; con un’inversione di rotta totale rispetto ad un orientamento storico in Sardegna, quello della subalternità a facili modelli esterni. Molto malleabili, in questo senso, i Sardi, altro che “resistenti”.
Giancarlo Porcu
Concordo con lei Cabras, da tempo mi occupo di seguire assieme a diversi collaboratori le sorti non di una località, ma di tutta la Sardegna. Non è affatto strano trovare difficile il reperimento di fondi per gli enti locali e/o la riqualifica di determinate aree sia per la disinvoltura degli stornamenti, sia per l’influenza assunta nel tempo dall’ICI sull’orientare le politiche di spesa nelle municipalità e non di meno, condizionati da una situazione che a monte manifesta problemi alquanto articolati: Ad esempio nella contabilità generale persiste un ammanco sulla vertenza entrate in cui lo Stato risulta ancora debitore con la Regione per miliardi di euro. L’ultima finanziaria regionale del resto ha dovuto coprire i suoi buchi accendendo nuovi mutui. Ciò significa che paghiamo i debiti con altri debiti. La Sardegna non è l’unica Regione ad avere simili problemi, ma di sicuro non di questa portata. Subiamo il peso del centralismo italiano senza un’adeguata autorità territoriale a tutela dello sviluppo. Non riusciamo a completare neppure infrastrutture strategiche per l’isola e le promesse a buon mercato si sprecano. Il problema è dunque politico (a prescindere dagli schieramenti), se non si riesce ad inquadrare la risoluzione dei problemi generali, come si può pensare a quelli particolari? Basta dare un’occhiata al fumoso recente accordo quadro Stato-Regione: http://www.partitosardo.org/index_files/IGQ%20Stato-Regione%20del%2002-10-09%20-%20SANATZIONE.EU.pdf
In merito al cosìddetto “ecomostro” penso sia più corretto definirlo mostro architettonico.